Babysteps

Questo è un post… vecchio. Molto vecchio. Che ho lasciato bollire per un bel po’ prima di pubblicare.

Parte da un messaggio di una lettrice che mi chiede, con molta semplicità, come si fa a rialzarsi da un dolore. Lei parlava di una perdita grave, un familiare che se ne è andato e nel peggiore dei modi.

Facciamo due salutari premessa: in primis io non sono né uno psicologo né tantomeno uno psicoterapeuta. Sono una persona, semplicemente, che fa la sua strada e non si vergogna a raccontarla. In seconda causa ricordiamoci che il dolore è più squisitamente personale del DNA. Ognuno ha il suo.

Tralasciamo la fase acuta. Quella è… semplicemente una fase acuta. C’è chi piange. Chi si dispera. Chi diventa cattivo. Chi – come me – si inchioda, semplicemente. Mette su gli occhioni da cucciolo di foca, smette di respirare, smette di mangiare, e guarda il dolore in faccia, prendendo nel frattempo tutte le bastonate che c’è da prendere. Come il giochino dei bimbi che si guardano fino a che uno non abbassa lo sguardo o batte le ciglia. Finora sono sempre sopravvissuto io. Non so quante costole ho ancora da offrire in olocausto per il futuro, però.

E poi? Poi cosa si fa?

Poi ci si accorge che siamo in piedi, frastornati dalle mazzate, e persi. Probabilmente con parecchie certezze in meno, probabilmente zoppicanti e con la classica miopia di chi non è ancora in grado di alzare la testa e riesce solo a vedersi i piedi attraverso gli occhi gonfi. E allora? E allora babysteps.

Babysteps: passi di bambino. Brevi, incerti, piccoli, implacabilmente costanti. Un piede davanti all’altro, e da qualche parte arriverò.

Un passo alla volta. Senza sapere il perchè. Vedo una persona. Scrivo una mail. Faccio una telefonata. Mi reco al lavoro sbarbato e curato. Faccio una cosa che non ho mai fatto prima. Compro un oggetto. Scrivo un post.

Senza un perchè o un percome. L’unico scopo che voglio è rimettermi in movimento. Camminare. Fare. Senza sapere la meta, la meta non è importante… e del resto se stiamo zoppicando e abbiamo gli occhi gonfi. Non ha senso dire “voglio andare li'”. Camminare per il gusto di farlo, camminare per scoprire che siamo ancora capaci di farlo.

Babysteps. Un passo alla volta e da qualche parte arriveremo.

Avete mai sentito parlare della legge di gravitazione universale? Senza entrare in inutili tecnicismi, una delle sue letture è che un corpo con massa leggera è attratto da un corpo con massa pesante. E voi camminate, leggeri e vacui, un piedino alla volta traballanti come un infante. Dove pensate di arrivare?

Arriverete a voi stessi, perché nonostante tutto voi siete l’epicentro del vostro mondo. Il corpo celeste attorno al quale tutto il resto orbita, che lo vogliate o meno. Potete essere vacui e sgonfi, ma li’ ritornerete. Ma non cadendoci. Camminando, un passo dietro l’altro, ogni passo più lungo e più saldo del precedente nonostante qualche caduta sul percorso e qualche sgambetto.

Allora alzerete lo sguardo e sorriderete. Nonostante le costole rotte facciano ancora male, e nonostante in cuor vostro sia forte la coscienza che non torneranno come prima, mai più. Chissà, magari nel vostro vagare avete scoperto qualcosa di nuovo e bello.

Dove andiamo, oggi?

Dimenticanze Selezionate

Ve la ricordate la ragazza del post sulle Dimenticanze Selettive?

C’è un motivo se ho scritto quel post. No, niente di suino o di pertinente ai suoi capezzoli; è un motivo più onirico, nel senso più stretto del termine. Di recente l’ho sognata parecchio. O meglio, più che lei – presente nei sogni, ma in modo piuttosto marginale – ho sognato sua madre. Che conoscevo.

Idealizzata, come spesso accade nei sogni. Luminosa, quasi ammantata di luce. Mi ha parlato tanto e detto cose belle e tranquillizzanti, e fatto anche qualche rimbrotto. Come una persona che mi voleva bene.

Coppa Vuota, ricordate? Vado sul blog della ex intenzionato a dirglielo, perchè non è un pensiero che mi appartiene: appartiene a lei ed è giusto che lo abbia. Con vivo dispiacere ho scoperto che questa signora non è più con noi. E allora gliel’ho detto. Semplicemente. Due righe, tante bastavano.

Non ha nemmeno approvato il post. Dimenticanza selezionata. Alle volte ci si dimentica che la distanza, intesa proprio tra un punto e l’altro, è identica sia che la si misuri dal punto A sia che la si misuri dal punto B.

Peccato?

Prospettive

Ospedale. Si, ultimamente ci vado spesso. Minimo due giorni a settimana, quando non sono di più. La strada è lunga.

Oggi pioveva. Quella pioggia mista tra un acquazzone estivo e un autunno precoce. Ma per un raro scherzo del destino avevo con me un ombrello: di solito non ci faccio caso e non ne ho mai.

Esco di macchina, prendo l’ombrello e sotto la pioggia battente mi avvio a larghe falcate verso l’ingresso. Davanti a me una ragazza. Bionda, capelli raccolti, vestita da tutti i giorni e in mano un sacchetto con tante cose non sue. Cammina sotto la pioggia come se non ci fosse, come se non ci fosse aria, come se non ci fosse nulla. Cammina e si bagna.

ok, sa30a. Coppa vuota e coraggio a quattro mani. Allungare il passo e…
“Mi scusi. Mi permette?” e le piazzo l’ombrello sopra la testa.
Mi guarda come se fossi un alieno. Sbuffa. Continua a camminare. “Mah, faccia come vuole, tanto questo posto è uno schifo e cosa vuole che sia se mi bagno i capelli”
“Mi creda, lo so che è uno schifo. Lo so bene. È per quello che vorrei tenerla all’asciutto. Almeno questo se lo faccia regalare. Mi permette?”

Camminiamo insieme, io all’acqua e lei no, per i cento metri che ci separano dall’atrio coperto.

“Certo, che tempaccio, eh?” mi dice, alla fine del percorso.
“Davvero diobono. Sembra già agosto!”

Sorride.

“Buona giornata?”
“Grazie. Anche a lei!” mi risponde. Ancora col sorriso alla più banale delle battute sul più banale degli argomenti.

e fuggo verso le porte girevoli. Spero che non mi abbia visto arrossire.

Acidità

Ospedale. Esco dopo una mattinata di visite & controlli, e si avvicina lei. Venticinque anni scarsi. Jeans tattico. Sorriso a 128 denti. Maglietta aderente.

Badge sulla maglietta aderente. Uh-oh.

“Buongiorno salve sono della Associazione Nazionale Tumori!
“Carino! Cosa fate?”
“Un’offerta per i malati di tumore?”

Tendo la manina.

“Grazie tata!”
“Mi scusi, non capisco.”
“Ho detto: grazie! Questo mese m’è arrivato il conguaglio del gas e sa, non è che ho lavorato tantissimo”
“Ma l’off…”

Si ferma. Ferma il disco. Mette in moto il criceto. Capisce. Sbianca.

“Signorina?”
“…”
“Facciamo che le auguro buona giornata, signorina?”
“…si, grazie… anche a lei…”

Inacidisco. Invecchio. Male.

Tanto sei forte

…premessa: sono evidentemente ancora vivo :)

Dette per prime le cose più importanti, passiamo alle riflessioni su questo intervento Lungo, con annessa degenza lunga e decorso post operatorio lungo. È tutto lungo, o quasi, insomma. Quello che dovrebbe essere lungo invece non lo è.

Sono uscito dall’intervento, che tanto per non farsi mancar nulla si è rivelato più complicato del previsto e ha rivelato un secondo tumore che giocosamente si era nascosto dietro al primo, palesemente cotto, sanguinante e soprattutto dolorante.

“mi scusi, infermiera, potrei avere un analgesico?” – “guardi, al massimo le dò un tachidol, lei é un omone forte, vedrà che può sopportare”. Che è un po’ come una donna che vuole un uomo e al posto di Raul Bova le mando Alvaro Vitali dicendole “lei ha le tette grosse, vedrà che se lo farà piacere”.

Torno a casa e parlo con una amica del decorso, delle difficoltà che sto vivendo. Non mi sono ancora ripreso e c’è la possibilità che certe cose non tornino più come prima. Sono in ansia, anzi, in angoscia. “Eh, ma tanto sei forte, vedrai che superi anche questa”.

Parlo della mia angoscia con le persone che mi stanno vicine e… si incazzano. “Smettila. Devi essere forte”

lo sapete che vi dico? Io mi sono stancato di essere forte. Stancato di stringere i denti, di lottare per tutto e per tutti. Sono stanco di essere una roccia, stanco di non poter mai cedere, di non poter rallentare, di non potermi lasciare andare anche solo per un istante. Stanco di non poter provare a cadere sapendo di essere raccolto, nemmeno una volta per provare l’effetto che fa.

Questa non è più forza. È un lento catabolismo. La stanchezza di essere roccia che mi sgretola da dentro.

Familiarità (due)

Vi sarete chiesti perché sono sparito in questi giorni, o perché non rispondo ai messaggi. Il motivo è presto detto, purtroppo: sono stato dietro ad esami, controesami, ecografie, risonanze magnetiche, e tutto il corredo dei novelli malati del ventunesimo secolo.

Si. Ne è arrivato un altro. E’ il secondo, e questo si preannuncia più cattivo del primo. Sia per la sua natura, che per la procedura chirurgica di rimozione (e meno male che ci si arriva chirurgicamente, aggiungo io) che presenta la sua brava dose di rischi e complicazioni sia durante che soprattutto come conseguenze permanenti dell’intervento.

Quindi tra pochi giorni il buon sa30a prende il pigiamino, lo spazzolino da denti e le ciabattine e va in ospedale a farsi rimuovere questo nuovo, piccolo grande amico che nessuno ha invitato nel mio corpo.

Se tutto va bene, me la cavo con qualche giorno di degenza e altrettanti di convalescenza. Se tutto va bene.

Vi abbraccio.