Cosa guardi in una donna?

I commenti e le richieste del post precedente mi spingono a trattare l’argomento con un filo di dettaglio in più.

Partiamo, come spesso faccio, da un parallelismo. Come qualcuno di voi forse saprà, sono sommelier. Una delle cose che ti insegnano al corso da sommelier è il meccanismo “psicobiologico” con cui ci rapportiamo agli odori. Il concetto è tutto sommato stupido: percepiamo gli odori uno alla volta, e l’unica maniera di far percepire più odori al naso è quello di metterlo di fronte a un odore, aspettare che il cervello giudichi l’informazione “ridondante”, la filtri dalla nostra percezione e ci restituisca quella successiva.

Se vi siete mai chiesti come mai quando andate in bagno la vostra puzza non vi arrechi alcun fastidio, avete appena scoperto perché.

Tutto questo pistolotto mi serve per sgomberare il campo alle ipocrisie: quando una è un topone stellare, notiamo che  un topone stellare. Questa informazione è per molti di noi talmente preponderante che per un intervallo di tempo riusciamo a percepire solamente quella. Lo stesso vale per particolari più o meno appartenenti all’insieme dei toponi stellari: un bel viso, un bel sedere, un bel seno monopolizzano la nostra attenzione per un determinato intervallo di tempo.

L’intervallo di tempo è funzione di due cose: l’intelligenza della persona e la sua maturità. Più si è intelligenti e più si è maturi (ricordate il Teorema della Maturità Differenziata, vero?) minor tempo si impiega a “filtrare” l’informazione della toposità stellare e a guardare gli altri aspetti. Qualcuno non ci arriva mai, perché nel suo set di valori la fisicità è talmente importante che dietro la toposità cerca altra toposità: qualcun altro (oserei dire la stragrande maggioranza) poi va a vedere altro: riprendendo il parallelismo olfattivo, se vi fate il bagno nel profumo ma fate una puzzetta per i più prima o poi quella puzzetta salta fuori.

Quindi risponderò alla domanda “cosa guardi in una donna” raccontando quello che succede OLTRE il primo sguardo, oltre la bellezza (che tutti notiamo) e/o alla sua presunta assenza (notiamo anche quella).  In questo caso, mi spiace dirlo, gli uomini non sono tutti uguali.

Io mi innamoro dei particolari. Delle piccole cose, tipicamente. Il che spiega – come detto da alcune – che io sia grossomodo l’equivalente maschile di una zoccola: in realtà sono ben poche le donne che non hanno alcunchè che mi piaccia. L’elenco delle cose che ho trovato gradevoli è strano, ai più potrebbe sembrare sciocco, ma almeno è variegato.

Un naso che si arriccia quando lo sfioro e non smette più se non dopo violente proteste della proprietaria. Un volto arcigno e ammusonito che quando sorride cambia dal giorno alla notte. Il labbro inferiore carnoso e quello sopra sottile. Delle efelidi sul petto. Due belle spalle larghe. C’è di tutto: logico che sono porte d’ingresso, sono viatici che mi spingono poi a approfondire la questione.

Ci sono però alcune cose che non tollero, e sono le cose “che guardo”. Quelle che guardo davvero, quelle che vado a cercare perchè so che sono i veri pilastri su cui costruire (o non costruire) qualcosa di più complesso di un po’ di ginnastica.

Detesto le donne che hanno un pessimo rapporto col cibo. Che non mangiano, o che mangiano a bocca stretta come se tutto facesse loro schifo. Le detesto quando fanno così e sono magre, perchè si rovinano la vita. Le detesto ancora di più quando fanno così e magre non sono, perchè non solo si rovinano la vita, ma mi pigliano anche per i fondelli: se mangi due spaghetti e un’insalata scondita di fronte a me e poi porti la 60, vuol dire che ti strafoghi di girelle a casa. No, non raccontarmi “disturbi ormonali”. Non ci credo.

Non riesco a stare con una donna che fuma. Davvero, ci ho provato. Mi sembra di leccare un posacenere ogni volta che la bacio. Mi va a femminilità zero ogni volta che la vedo fumare. Non ce la posso proprio fare.

Scappo via dalle persone umorali, lo so, questo mi taglia l’80% del gentil sesso. E’ più forte di me: se non so mai che umore ha la persona che ho di fronte, divento isterico IO. I cambi d’umore, le cose non dette, i film fatti in testa per una frase che magari voleva dire tutt’altro e scatenano un inferno: no-no. Non ci siamo.

Le donne mi piacciono *tonde*. Non necessariamente obese: tonde. Con le sue curve al loro posto, un sedere dove posso stampare una manata con la rincorsa senza il timore di creparti due vertebre, chissene se c’ha due buchini, tanto quando poi si va al dunque la pelle è in tensione e i buchini non si notano (oink, oink!).

Le donne mi piacciono *curiose*. Curiose di provare, di capire, di imparare. Una pietanza nuova, una cosa mai fatta, semplicemente leggere un articolo di un argomento che non si conosce e iniziare a specularci su. Intellettualmente curiose, ovviamente, non necessariamente pettegole. Anche se… vabbè, son pettegolo pure io :)

Mi piacciono le donne che si curano. Non necessariamente che si sfondano di palestra, impiegano stipendi in vestiti e scarpe (che io a malapena noto: per me esistono le scarpe da ginnastica, le scarpe col tacco, gli stivali e altri oggetti che separano il piede dal terreno) o che impiegano tre ore per prepararsi la sera. Anzi, quello mi mette parecchia uggia. Però un minimo di cura del dettaglio, un oggettino carino anche di bigiotteria, l’igiene, la barba fatta, ecco quello ci tengo più ancora che la bellezza.

Sono spunti di discussione, ovviamente. Voi?

Punti di Vista

Di ritorno dalla mensa, io e il Collega Del Mulino Bianco (ve lo ricordate?)

“ehi sa30a, hai visto che bella la ragazza seduta accanto a me? bella, eh?”
“Si, ma…”
“ma come ‘ma’! Era una sventola che passava il metro e settanta!”
“Si, ma…”
“ma quale ‘ma’! Capelli lunghi, fisico asciutto, spalle larghe come piacciono a te…”
“Si, ma…”
“non ci sono ma! Due occhioni azzurri tondi e grandi, labbra carnose…”
“Si, ma…”
“‘ma’ una cippa, sa30a! Poi hai visto che roba? sarà stata almeno una terza!”
“Si, ma…”
“Insomma, ‘MA’ COSA?”

“Hai fatto caso che è stata accanto a noi mezz’ora e non ha mangiato *niente*?”
“Cacchio, non ci avevo fatto caso…”
“Che me ne faccio io di una donna che schifa il cibo a quella maniera?”
“Nulla?”
“Nulla.”
“Ma proprio nulla-nulla?” sorride malizioso.
“Se tromba come mangia, mi compro una pleistescion.”
“Già. Hai ragione”.

Donne, occhio. Perchè gli uomini, passati i trenta, guardano cose ben diverse dal trucco, dalle gambe e dai bei vestiti.

Quote Rosa

Interrompo le narrazioni per chiedervi un parere su un tema già trattato.

Come qualcuno di voi forse sa, ho avuto uno scontro dialettico con un giornalista di Repubblica. Fin lì tutto bene: io la penso in un modo, lui la pensa in un altro, così è la vita. Ci siamo sentiti per posta elettronica e mi ha menzionato le quote rosa come conquista di civiltà.

Vi anticipo il mio pensiero: obbligare un qualcuno ad assumere una persona in base a una sua caratteristica vuol dire che quella caratteristica è penalizzante. L’esempio di un disabile è calzante: “tu hai un ritardo mentale o un difetto fisico, in un mondo non filtrato non troveresti una occupazione e moriresti di fame, ma qui siamo in uno stato civile e io obbligo le aziende ad assumere una quota-disabili in modo che le persone oggettivamente svantaggiate come te possano comunque integrarsi nella società”.

Il che mi sta bene per un videoleso, mi sta bene per un non deambulante, mi sta bene per una persona con un ritardo cognitivo o un disagio comportamentale. Sono persone che hanno *bisogno* del supporto di una società che ambisce a chiamarsi civile, altrimenti vivrebbero di stenti.

Alla luce del ragionamento di cui sopra, se fossi una donna e mi parlassero di “quote rosa”, io mi incazzerei come un’ape. Mi incazzerei perchè in quanto donna non sono biologicamente impedita a svolgere qualsivoglia lavoro. Mi incazzerei perchè in quanto donna non sono geneticamente stupida. Non ho bisogno che tu obblighi un’azienda ad assumermi come se fossi inabile!

Le donne hanno bisogno di tante cose: hanno bisogno di uno Stato che non le lasci sole rispetto alla famiglia e alla maternità in primis, hanno bisogno in seconda causa di una cultura che dia loro pari opportunità, pari diritti e pari doveri (penso alle separazioni e alle politiche di affido dei figli, dove per “tradizione giudiziaria” la mamma gestisce il bimbo e il papà caccia il danaro), hanno bisogno di tante cose.

Non di sentirsi equiparate a disabili, perché non mi risultano che siano disabili. Stronze, forse. Ma subnormali proprio no.

Che ne pensate?