Tanto sei forte

…premessa: sono evidentemente ancora vivo :)

Dette per prime le cose più importanti, passiamo alle riflessioni su questo intervento Lungo, con annessa degenza lunga e decorso post operatorio lungo. È tutto lungo, o quasi, insomma. Quello che dovrebbe essere lungo invece non lo è.

Sono uscito dall’intervento, che tanto per non farsi mancar nulla si è rivelato più complicato del previsto e ha rivelato un secondo tumore che giocosamente si era nascosto dietro al primo, palesemente cotto, sanguinante e soprattutto dolorante.

“mi scusi, infermiera, potrei avere un analgesico?” – “guardi, al massimo le dò un tachidol, lei é un omone forte, vedrà che può sopportare”. Che è un po’ come una donna che vuole un uomo e al posto di Raul Bova le mando Alvaro Vitali dicendole “lei ha le tette grosse, vedrà che se lo farà piacere”.

Torno a casa e parlo con una amica del decorso, delle difficoltà che sto vivendo. Non mi sono ancora ripreso e c’è la possibilità che certe cose non tornino più come prima. Sono in ansia, anzi, in angoscia. “Eh, ma tanto sei forte, vedrai che superi anche questa”.

Parlo della mia angoscia con le persone che mi stanno vicine e… si incazzano. “Smettila. Devi essere forte”

lo sapete che vi dico? Io mi sono stancato di essere forte. Stancato di stringere i denti, di lottare per tutto e per tutti. Sono stanco di essere una roccia, stanco di non poter mai cedere, di non poter rallentare, di non potermi lasciare andare anche solo per un istante. Stanco di non poter provare a cadere sapendo di essere raccolto, nemmeno una volta per provare l’effetto che fa.

Questa non è più forza. È un lento catabolismo. La stanchezza di essere roccia che mi sgretola da dentro.

Familiarità (due)

Vi sarete chiesti perché sono sparito in questi giorni, o perché non rispondo ai messaggi. Il motivo è presto detto, purtroppo: sono stato dietro ad esami, controesami, ecografie, risonanze magnetiche, e tutto il corredo dei novelli malati del ventunesimo secolo.

Si. Ne è arrivato un altro. E’ il secondo, e questo si preannuncia più cattivo del primo. Sia per la sua natura, che per la procedura chirurgica di rimozione (e meno male che ci si arriva chirurgicamente, aggiungo io) che presenta la sua brava dose di rischi e complicazioni sia durante che soprattutto come conseguenze permanenti dell’intervento.

Quindi tra pochi giorni il buon sa30a prende il pigiamino, lo spazzolino da denti e le ciabattine e va in ospedale a farsi rimuovere questo nuovo, piccolo grande amico che nessuno ha invitato nel mio corpo.

Se tutto va bene, me la cavo con qualche giorno di degenza e altrettanti di convalescenza. Se tutto va bene.

Vi abbraccio.

Peccato averti persa

E’ amica di amici. Ci chiacchiero un po’ in qualche gruppo, mi piace quel che dice e come lo dice, inizio a scambiarci due parole.

Aperta, libertaria, peraltro pure caruccia. Mediterranea e morbida. Insomma, detta tra noi, ci avrei fatto volentieri merenda, ecco. Ogni tanto la sento fare dei discorsi strani, un po’ da “il mondo deve essere come mi pare”. Ma è normale. Quando si è soli ci si rinchiude dietro le nostre verità, esponendole, aspettando che qualcuno ci bussi al portone. Come quei canini piccoli dietro i cancelli, che ti abbaiano feroci quando ti avvicini, e se infili la mano tra le sbarre per accarezzarli ti mostrano il pancino e si sciolgono.

Arriva una occasione in cui ci si può finalmente vedere, un picnic tra amici, e insomma, io vado. Lei invece no, non c’è. Pazienza. Cose che capitano. La ricontatto il giorno dopo.

“Non c’eri domenica…”
“Eh, avevo un altro impegno”
“Non ci siamo visti, peccato”
“Si, per te senz’altro”

A posto. Da prendere e mandare affancuore subito.