Dimenticanze Selezionate

Ve la ricordate la ragazza del post sulle Dimenticanze Selettive?

C’è un motivo se ho scritto quel post. No, niente di suino o di pertinente ai suoi capezzoli; è un motivo più onirico, nel senso più stretto del termine. Di recente l’ho sognata parecchio. O meglio, più che lei – presente nei sogni, ma in modo piuttosto marginale – ho sognato sua madre. Che conoscevo.

Idealizzata, come spesso accade nei sogni. Luminosa, quasi ammantata di luce. Mi ha parlato tanto e detto cose belle e tranquillizzanti, e fatto anche qualche rimbrotto. Come una persona che mi voleva bene.

Coppa Vuota, ricordate? Vado sul blog della ex intenzionato a dirglielo, perchè non è un pensiero che mi appartiene: appartiene a lei ed è giusto che lo abbia. Con vivo dispiacere ho scoperto che questa signora non è più con noi. E allora gliel’ho detto. Semplicemente. Due righe, tante bastavano.

Non ha nemmeno approvato il post. Dimenticanza selezionata. Alle volte ci si dimentica che la distanza, intesa proprio tra un punto e l’altro, è identica sia che la si misuri dal punto A sia che la si misuri dal punto B.

Peccato?

Prospettive

Ospedale. Si, ultimamente ci vado spesso. Minimo due giorni a settimana, quando non sono di più. La strada è lunga.

Oggi pioveva. Quella pioggia mista tra un acquazzone estivo e un autunno precoce. Ma per un raro scherzo del destino avevo con me un ombrello: di solito non ci faccio caso e non ne ho mai.

Esco di macchina, prendo l’ombrello e sotto la pioggia battente mi avvio a larghe falcate verso l’ingresso. Davanti a me una ragazza. Bionda, capelli raccolti, vestita da tutti i giorni e in mano un sacchetto con tante cose non sue. Cammina sotto la pioggia come se non ci fosse, come se non ci fosse aria, come se non ci fosse nulla. Cammina e si bagna.

ok, sa30a. Coppa vuota e coraggio a quattro mani. Allungare il passo e…
“Mi scusi. Mi permette?” e le piazzo l’ombrello sopra la testa.
Mi guarda come se fossi un alieno. Sbuffa. Continua a camminare. “Mah, faccia come vuole, tanto questo posto è uno schifo e cosa vuole che sia se mi bagno i capelli”
“Mi creda, lo so che è uno schifo. Lo so bene. È per quello che vorrei tenerla all’asciutto. Almeno questo se lo faccia regalare. Mi permette?”

Camminiamo insieme, io all’acqua e lei no, per i cento metri che ci separano dall’atrio coperto.

“Certo, che tempaccio, eh?” mi dice, alla fine del percorso.
“Davvero diobono. Sembra già agosto!”

Sorride.

“Buona giornata?”
“Grazie. Anche a lei!” mi risponde. Ancora col sorriso alla più banale delle battute sul più banale degli argomenti.

e fuggo verso le porte girevoli. Spero che non mi abbia visto arrossire.

Ricettine

Non lo faccio mai. Di postare quel che mangio, o quello che cucino, intendo. Ma qui m’è venuto un piccolo rigurgito di egocentrismo e vanità, visto che sono due ricette… mie. Mie come carattere, mie come risultato e scelta degli ingredienti, mie nella loro giustapposizione. Non ci incastrano nulla l’una con l’altra. Un po’ come il mio carattere e la mia passione più o meno smodata per gli ossimori.

Cous Cous a Sorpresa

Tempo: cinque minuti.

In realtà questa ricetta mi è venuta in mente quando, nell’ennesimo trasloco, mi è capitata davanti una confezione di spezie. Comprata a Roma, col sorriso sulle labbra e una bella persona accanto, “come un bambino in un negozio di giocattoli”. Kurkuma, peperoncino, curry, zenzero tagliati piuttosto grossi, non polverizzati. Accanto, un’altra confezione di sale aromatizzato a limone e menta. Anche li’, un altro sorriso. Due sorrisi che meritavano una tavola su cui stare.

Non ci vuole molto a fare il couscous, è semplice. Il gioco è trovare l’ingrediente giusto, o meglio, l’amore. Sta tutto li’. Sgranate il cous cous con l’olio buono di Volterra, quello che non usate quasi mai perchè ne è rimasto poco. Mettete a bollire un po’ d’acqua, 4 bicchieri bastano e avanzano per un paio d’etti di cous cous. Fatela bollire, spengetela, aggiungete una punta di sale (ma poco, eh?) e lasciateci il cous cous lavorato con l’olio.

Condite con poco, ma scelto con amore. Aglio bio, tagliato fine. Cetrioli a filiera corta, se li avete, tagliati a metà e poi in fettine sottili sottili. Pomodoro piccadilly, perchè fa meno sugo dei pomodori classici e non rischia di lavare via il sapore. Tonno al naturale scolato bene. Le spezie. Il sale al limone e alla menta.

Ne viene fuori un cous cous a sorpresa: profumatissimo, la menta vi accompagna ogni boccone alla bocca, e ogni boccone è una sorpresa: con le spezie tagliate grosse, chissà cosa vi risalterà alla bocca? il peperoncino, magari mano nella mano a un pomodoro che ne contrasta l’aggressività? il curry, dolciastro, che parla con il leggero acido del cetriolo? o quel retrogusto di limone di un granello di sale un po’ più ostinato degli altri, che magari assieme al tonno ha il suo bravo perchè? Accompagnate con un Muller Thurgau o se siete più audaci con un Gewurztraminer,  e avete fatto serata.

Coppetta della Lussuria

Tempo: 4-5 giorni.

Prendete delle pesche. Pesche vere, eh, quelle belle pelose, no le pesche noci. Sbucciatele con tanta calma e mettetele a macerare nel vino rosso che avrete comprato per l’occasione. Un bel vino di corpo come un Chianti o una cosa più aggraziata ed esile come un Teroldego? Lascio scegliere a voi, ovviamente. Non occorrono grandi bottiglie, una cosa dignitosa e che sia riconoscibile. Lasciate macerare le pesche per un paio di giorni nel vino zuccherato, con zucchero di canna o bianco, a seconda dei vostri gusti e preferenze. Per i viziosi, aggiungete una puntina di miele d’acacia. La bottiglia usatela TUTTA.

Dopo i due giorni, prendete le pesche ottenute e datele al gatto. O mangiatele, se proprio volete, male non sono.  Vi ho detto di usare la bottiglia intera? si? un po’ perchè odio gli avanzi. L’altro motivo è perchè adesso prenderete il vino aromatizzato e ci taglierete le fragole, a pezzi fini fini fini. Ve ne dimenticherete per un paio di giorni in frigo, finchè non diverranno traslucide.

Da mangiare in due, rigorosamente dalla zuppiera e con un cucchiaino a testa come Lilli e il Vagabondo, con la vostra commensale che battezza il dolce “coppetta della lussuria” con sguardo tendente all’estatico. Il consiglio del Single, purtuttavia, è di usare un cucchiaio solo. Per due. Basta e avanza.

Ecco, in queste ricette mi ci sono rivisto tanto. Un cous cous da cinque minuti e un dolce da cinque giorni, odori e sapori che si rincorrono e ora si accoppiano e ora litigano. La cura per il particolare, il piccolo, l’ingrediente, il come verrà consumato il piatto e non il come viene preparato. Mi perdonate questo momento da vanesio?

Devin Townsend – “Grace” e gli ossimori d’amore

Chiariamoci: io, Devin Townsend, l’adoro. L’adoro per quella sua capacità di unire canzoni dolci e dischi orecchiabili come Terria a assalti sonori come gli Strapping Young Lad, roba che lasciano seduti metallari incalliti dalla ferocia che hanno addosso.

Lo adoro per la sua capacità di sperimentare e di rinnovarsi.

Soprattutto, però, lo adoro per il suo gusto per gli ossimori, una delle figure retoriche che mi stanno più care. Il trasporto di un messaggio attraverso una giustapposizione d’opposti è un processo mentale che mi affascina e mi appartiene in tanti campi della mia vita, dal pecorino col miele di castagno, alle fragole con l’aceto, fino a… beh, fatemi fermare prima che mi spinga un po’ troppo in là.

Qui Townsend s’è sprecato: heavy metal e gospel assieme, melodia unita ad una batteria furiosa e dalla precisione implacabile. Un testo assieme martellante e dolcissimo… e la sua voce, il suo volto, la sua mimica. Che un po’ mi somigliano, tra l’altro. Quando suono certe cose, perlomeno. O quando ne faccio altre :-)

“We all fall down if we fear love”

Buona domenica!

sa30a

In This Moment – “11:11” e i fallimenti

“Piccola mia,
è stata una strada molto, molto lunga
è stato un sogno molto, molto lungo
Piccola mia,
Dio solo sa quanto abbia lottato
Dio solo sa quanto abbia provato

Ma almeno posso dire
posso almeno dire di aver amato
Ma almeno posso dire
posso almeno dire di aver vissuto
Quando giacerò per l’ultima volta,
almeno potrò dire di aver vissuto.

Piccola mia,
non c’è niente che cambierei
il mio cuore è restato nelle fiamme
Piccola mia,
è stata una splendida tragedia.

Ma almeno posso dire
posso almeno dire di aver amato
Ma almeno posso dire
posso almeno dire di aver vissuto
Quando giacerò per l’ultima volta,
almeno potrò dire di aver vissuto.”

In This Moment – \”11:11\”

Routine

Post per salutarvi tutti, sarò fuori per tutta la settimana a partire da stamani e in seria difficoltà a rispondere ai messaggi e ad approvare i commenti.

E’ un luminoso pomeriggio quasi primaverile. Rivedo, dopo tanto, il Collega del Mulino Bianco. Ve lo ricordate, si? Casale di campagna, i campi tutto intorno, moglie, due figlie, due gatte e una canina. Un amico, oltre che un collega, uno che me le ha viste passare tante. Che dico tante, tutte.

Ci sediamo di fronte a una insalata, e attacchiamo a parlare. E’ tanto che non ci vediamo e come due ragazze ci mettiamo a parlottare, prima del più e del meno, poi dei colleghi, e poi alla fine di noi due.

Attacco il mio repertorio fatto di gente che viene e gente che se ne va, di incontri, di scontri, di scene dolcissime e di tagli, di belle persone e di altre che hanno litigato con la propria umanità. Parlo a ruota libera per parecchi minuti, interrotto solo da qualche sguardo o da qualche domanda puntuale. Lui è un bravissimo ascoltatore, e mi sento bene. Ma anche io sono curioso e trovo gioia nel sapere di lui.

“…e tu, invece? che mi racconti?”
“Io? Solita routine, la moglie, le bimbe, le gatte, la canina…”
“…”
“…è rassicurante, sai?”

Ecco. Fai pure. Trapassami senza misericordia, proprio li’, che sono bello morbidino e il punteruolo entra bene.

Ha ragione. E’ rassicurante, ma non nel modo in cui potevo intendere io anni fa. Non è rassicurante perchè arrivi a casa e più o meno sai cosa trovi e non devi metterti in gioco più di quel tanto. E’ rassicurante perchè è una vita di amore puro, di impegno, di dedizione. Di cose rotte che vengono aggiustate invece che buttate, alle volte di fatica dura, alle volte di incazzature belle solenni che ti fanno arrivare in ufficio schiumante di rabbia dalla sera prima. Con le gioie che la vita può concederti a darti la bussola per andare avanti ancora.

Ma è amore. Quello vero, non quello che si dice, non l’innamoramento, non il corteggiamento, non la scoperta. E’ un amore di scelta, che viene ripetuto e reiterato giorno dopo giorno.

L’amore, ma non quello che si dice. L’amore che si fa. Perchè a innamorarci siamo capaci più o meno tutti, è bello, è uno sfogo. E’ un correre. E’ fottutamente divertente e si tromba pure come ricci.

Ma non tutto li’. Innamorarsi non è correre, innamorarsi è prendere la rincorsa e prepararsi a un salto nel vuoto. Amore è trovare la forza di sbattere entrambe le ali e continuare a volare, talvolta in alto, talvolta in basso… talvolta tra le nubi e talvolta sotto il sole.

Amore. E routine.

Grazie per la splendida lezione di vita, amico mio. E per l’esempio. Sei un faro.

Neve

Nevica sulla mia terra stamani. E’ una cosa rara. E come le cose rare, me le godo finché ci sono.

A piedi, verso il lavoro, con il naso all’insù, come un bambino, mi godo la carezza di ogni fiocco di neve che mi sfiora il viso.

Al lavoro guardo dalla finestra, vedo i campi bianchi, guardo le auto che passo e mi sforzo di riconoscerle tutte. Come quando ero bambino, continuo a guardare la strada in cerca di auto familiari. La neve copre tutto, delicata, persistente, soffice.

Con ogni fiocco, un pensiero.

Che dolce, delicata malinconia.