Teorema dal Sadismo Senza Limitismo

Si verifica il valore di verità, apodittico e inalterabile, della natura del seguente dialogo:

Masochista: “Fammi male. Strapazzami. Fammi sentire tutte le sensazioni forti, ti prego, mi piace soffrire, fammi male, sfogati pure, dai, ti prego, fammi male!”

Sadico: “No.”

Dedicato a tutte quelle situazioni e a tutte quelle persone che ti fanno la solita ramanzina “ma no, ma io non sono una persona buona, se poi ti frequento ti faccio male e io non ti voglio far del male perchè sei un bravo ragazzo”. Ma maremma maiala a pile, se te lo sto chiedendo io che diavolaccio di problemi ti fai?!?

Dal teorema discende il Corollario della Brava Superiorità:

Siano dati x et y appartenenti alla razza umana, con sesso(x) diverso da sesso(y) e per cui sia valida la funzione “x si interessa ad y”. Si dimostra che la proprietà “bravo ragazzo/a” di x è vera se e solo se y si sente maggiore di x.

 

Che poi siamo davvero sicuri che tutti quelli che etichettiamo come “bravi ragazzi/e” lo siano davvero?

…e quando capitano… vabbè…

…ricordate il “quando le cose le cerchi non capitano“, nevvero? Il problema è quando capitano sua sponte.

Scenario: palestra. Io a sudare copiosamente come un lama dietro a quei maledetti addominali laterali obliqui, arriva lei.

Ha più o meno la mia età,  lavora in reception dopo che si è rotta le gonadi di fare carriera legale, una laurea più un altra in arrivo. Non bellissima ma decisamente gradevole, con quella voce un po’ “roca” che la rende ancora più carina. In più, sempre solare, sorridente, gentilissima. Sorvolo i convenevoli e…

“Si, guarda, sono andata a cena con un’amica in questa pizzeria in un paese vicino e sono stata benissimo. Dovresti andarci anche tu!”

“Ben volentieri, ma devi prestarmi l’amica: mi fa tristezza andare in pizzeria da solo!”

“Non posso prestartela, è la ragazza di mio fratello!”

(sonounacoppavuotasonounacoppavuotasonounacoppavuota!) “Beh, vieni tu allora, no?”

Mi preparo ad una rimbalzate epocale e invece…

“Ah, beh, perchè no, una pizzata insieme perchè no”.

Tutto bello, tutto carino, no? scena tenera, nevvero? quasi da film di Moccia. Se non fosse che il dialogo è avvenuto quando ero reperibile sul lavoro, ossia assolutamente impossibilitato a fare una serata fuori di casa, e sarei stato reperibile per tutta la settimana a partire dal… giorno del dialogo. Ergo, niente cena. E secondo voi la settimana dopo si è ricreata la stessa alchimia e la stessa spontaneità? manco per sogno.

Lezioni apprese:

  1. Le cose, quando le cerchi, non capitano. Ma quando capitano, tranquillo che tu non ci puoi essere.
  2. Reperibilità fa rima con Castità, e non è un caso
  3. Le occasioni vanno colte al volo. AL VOLO. Guai a me se mi rifaccio problemi per una cosa tutto sommato marginale come la mia professione.

Poi dice uno si deprime… chissà perchè!

 

Mesiversario!

Vi ricordate i mesiversari che festeggiavamo con ragazzini/ragazzine ai tempi del liceo? in cui festeggiavi il primo, il secondo mese… come se fossero avvenimenti epocali (in effetti lo erano: le più erano storie che non duravano, e arrivare a tre mesi era gia’ tanto, che diamine!). Ecco, qui si spera solo di durare un po’ di più.

Nonostante il primo post sia del primo di marzo, www.singleatrentanni.com compie un mese più o meno oggi. Assieme a voi vorrei tracciare i primi bilanci.

Quello che era nato nei miei pensieri più bui per essere un racconto del magico momento in l’oscurità sfuma nelle tenebre è diventato un blog più vivace del previsto, a tratti tragico e a tratti comico, grazie ad un’unica risorsa: voi. Grazie ai vostri commenti (io non credevo che avrei trovato i miei manzoniani ventitrè lettori, invece ho degli splendidi aficionados) il blog prende forma e contenuti, va avanti da solo con gambe che sono in larga parte sue. Sorretto dalle mie mani, come un bimbo che impara a camminare, e guardato con occhio vigile e affettuoso, ma che vive di una vita propria. La vita di un bambino, semplice, animata dalla curiosità e dalla fame di input nuovi.

Ed è per questo che vi voglio ringraziare, e vi voglio chiedere aiuto. Ringraziarvi nell’essere stati con me in questo pezzo di viaggio e ringraziarvi se sarete con me nella prossima tratta. Ringraziarvi di tutto quello che mi avete dato in temini di spunti e pensieri.

Chiedervi aiuto a far conoscere il blog e a renderlo ancora più bello di quel che è. Perchè se fuori ci sono altre cinque, dieci persone come voi… beh, www.singleatrentanni.com diventerà ancora più vivo, ancora più ricco, ancora più profondo. Invece di gattonare, il bimbo può camminare, o andare in bicicletta.

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Anathema – “Closer” e i sogni limita(n)ti

Gli Anathema nascono come gruppo heavy metal, di una particolare sottocorrente chiamata “doom”, caratterizzata da suoni semplici, ripetitivi, melodici, pesanti ed oppressivi. Un punto di contatto tra gotico e oppressivo, il “romanico architettonico” del metal. Gli Anathema, come i Moonspell già citati, fanno bei dischi metal, mediocri dischi metal, e come al solito diventano grandiosi appena smettono di fare del metal.

“A Natural Disaster” del 2003 segna la maturazione dal doom all’emozionale, con forti capacità di introspezione sia musicali che liriche, e passaggio a texture sonore che sono un gradevole misto tra analogico e digitale, con una grande voglia di sperimentare in tutte le direzioni, pur mantenendo l’orientamento al se, all’oppressione del pensiero verso sè stessi, alla claustrofobia che ha caratterizzato gli anni della loro giovinezza.

Vi devo l’ascolto grazie alla telefonata di una bellissima persona – che essendo donna, ha prudentemente frapposto un migliaio di chilometri tra noi due, così, per non saper nè leggere nè scrivere – che stasera, al telefono, mi illumina con una frase che nella sua banalità mi ha colpito.

“Prendila come viene, singleatrentanni, altrimenti il peso dei tuoi sogni, del tuo guardare verso il futuro, sarà talmente forte che ti troverai schiacciato, in preda allo stress, e svuotato”.

Ha ragione. Da vendere.

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Me l’ha detto la mamma!

Ve ne parlo un po’ perchè l’avevo promesso a Giada, un po’ per far da contraltare alla teoria dell’attacco preventivo, ma Beta meritava un piccolo spazio in questo ultimo racconto della mia vita.

Beta, nella nomenclatura di questo blog, è stata la seconda storia importante della mia vita. Tre anni molto belli, dai 23 ai 26 grossomodo, fatti con una ragazza che in realtà era donna. Anzi, Donna. Donna con la maiuscola per il suo carattere dolce, perchè non mi vedeva tutto, perchè era femminile in ogni momento, perchè sapeva sempre prendermi per il verso giusto (e non è facile), donna per una miriade di motivi che sarebbe lungo elencare. Donna. In grado di rendermi felice. Tanto chiedo ad una donna, tanto mi può bastare nella vita.

Beta aveva due grossi difetti, anzi, tre. L’assoluta mancanza di voglia di finire gli studi, l’assoluta mancanza di voglia di lavorare, e soprattutto la di lei madre, casalinga full time con una concezione della vita assai retrò. Per il resto, aveva (e ha) un padre che è una meraviglia di uomo, e andava d’accordo con la mia famiglia (che a quei tempi esisteva ancora).

Il problema della di lei madre, con cui vigeva un rapporto di amore-odio, si sintetizzava in uscite mirabolanti del tipo “senti beta, siamo stati insieme il pomeriggio, sono le sette, passeggiamo ancora un po’ e poi ceniamo?” e lei “no, devo andare a casa a stendere i calzini”. In realtà DOVEVA vedere sua madre e farsi vedere, foss’anco per mezz’ora (bastava insistere e lo ammetteva). Un atteggiamento che avevo difficoltà a capire (e a 24 anni me ne mancava anche la voglia), ma tant’è, stavo bene, mi rendeva felice (l’ho già detto, lo so) e poi nonostante il mio caratteraccio sono più accomodante di quanto sembri.

Anno domini 2001. Mi laureo. Mi libero dei miei obblighi con lo Stato (a quei tempi erano davvero obblighi!), trovo un lavoro serio nonchè discretamente retribuito e… ve l’ho detto, vero, che sono un “family man”? che ho sempre sognato costruirmi una famiglia mia?

“Senti, Beta, ho una laurea, un lavoro, prospettive, che ne pensi se andiamo a stare insieme e vediamo un po’ di vedere se non ci si pianta coltellate nella pancia prima di fare il grande passo?”

“eh no eh!”

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Scelte difficili…

Chiedo umilmente scusa per la qualità dell’immagine fatta col vociofono, ma del resto le due fotocamere digitali che avevo restano tutte a Gamma (gliele ho regalate io, sono sue) mentre io posso portarmi via le mie due iniziali da appendere al portachiavi.

Veniam repente al titolo: “dilemmi esistenziali”

Dilemmi Esistenziali

 

considerate che io passo sotto questo cartello praticamente tutti i giorni. E tutti i giorni ci metto un po’ a scegliere da che parte andare, per poi dirigermi con passo incerto alla porta di fronte (tertium datur, per fortuna!) che recita, molto simbolicamente, “maniglione antipanico”. Tutti i giorni ho il mio piccolo grande momento di down, e ringrazio gli dei di ogni cielo quando è soltanto uno.

Nota a latere se il secondo cartello non si legge bene: SPDC sta per “servizio psichiatrico – diagnosi e cura”

“ma figurati se io…”

Sono grato al buon Bongio per questo spunto su un vecchio post, in cui enuclea con delicatezza un problema alla base di molte coppie e, ve lo dico con franchezza, alla base di molte singletudini.

Il “figurati se io”, vero anatema in grado di distruggere coppie con un grande potenziale… con un semplice giochino da bambini, che si spiega all’asilo, ma diventa difficile da comprendere se praticato da adulti. Il “figurati se io”, ossia la perversione ultima (altro che stanza delle punizioni!) del “do ut des”, un modo di intendere l’amore che stride in modo importante con la mia teoria della “coppa vuota“.

“Figurati se io lo chiamo per primo. Mi deve cercare lui/lei!”

“Figurati se faccio il primo passo per riconciliare questa discussione. Ho ragione, si deve muovere lui/lei!”

Sono tutte frasi che nascono da uno stesso concetto, da una sorta di “idea socratica” dell’egoismo, e si possono declinare in mille situazioni della vita… ma sono figlie dello stesso modo di concepire i rapporti, di chi si pone su un piedistallo e “elargisce dietro compenso”, dove il compenso sono energie, attenzioni, alle volte umiliazioni o sacrifici non dovuti, e l’elargizione è semplicemente della propria persona. In pratica – e perdonatemi il raffinato francesismo – è un comportamento tipico delle puttane emotive: tu mi dai, io mi do’ (e ovviamente si paga in anticipo), ma senza che ci siano coinvolti dei soldi. Solo le tue energie, il tuo amor proprio, la tua dignità, te stesso. Non la tua busta paga.

Mi perdonerete un accenno di maschilismo, ma temo che questo comportamento sia più femminile che maschile, con le donne più “viziate” dai primi 15 anni della loro vita relazionale in cui avevano il coltello ben saldo dalla parte del manico, erano loro che sceglievano sempre e comunque.

Quando le donne passano i 35, la bellezza fisica scema, l’orologio biologico rintocca campanelli pesanti, l’approccio della coppia passa dal “me l’ha data” al “siamo stati insieme”, perchè c’è una diversa maturità e una diversa prospettiva. E le donne che restano ancorate a questa figura sono destinate a rimanere al palo, a meno che non trovino un uomo molto paziente o molto “bovino”.