Le donne fanno male…

…a chi non sa gestirle. In tutti questi anni di vita e di esperienze una cosa ho imparato: se non sai gestire le donne (ammesso e non concesso che una donna “si gestisca”) il problema è solo e soltanto tuo. A quindici anni puoi dare la colpa all’inesperienza. A venticinque puoi dare la colpa alla famiglia di origine. Dopo i trenta le colpe sono inequivocabilmente tue.

E’ ed è sempre stato uno dei miei grossi problemi. La “gestione” del genere femminile. Come approcciarsi, cosa dare, cosa non dare, come fare, stabilire degli equilibri di potere nei rapporti di coppia. Chi mi conosce sa (e credo a questo punto molti di voi) che da questo punto di vista sono paurosamente disfunzionale. Ho seri problemi di autostima, sono sempre troppo brutto o troppo stupido o troppo inadeguato, e ho quella che gli psicologi chiamerebbero “paura dell’abbandono”.

Risolvere i miei problemi di autostima è una battaglia che ormai sono sicuro di portarmi dietro fino alla tomba, e sulla tomba scriveranno “Qui giace sa30, persona tutto sommato buona e padre che ha dato il massimo, ma la battaglia con l’autostima l’ha persa”.

So benissimo che i miei problemi di autostima derivano dal carattere di Augusto Genitore (ve lo ricordate?) che con me è stato tutt’altro che tenero per tutta l’infanzia e l’adolescenza. Vorrei poter dire a 44 anni suonati che è colpa sua. Ormai non posso più dirlo: sono problemi miei, se non li ho risolti è perchè sono stato debole. Punto. Non ci sono scuse.

Quello che però ieri mi ha dato una grossa soddisfazione, amara ma grossa, è poter finalmente “fare la paternale” all’Augusto Genitore. L’AG, in piena pandemia, ha accompagnato una sua amica ad una residenza sanitaria assistita per malati di Covid-19 a trovare la di lei figlia. AG. Sessantanove anni, più malanni che anima, che vive solo e con un figlio e una nipotina, ha preso e messo intenzionalmente a rischio sè stesso e il suo nucleo familiare esteso per fare un favore a una tizia.

Perchè? Perchè la tizia è figa, figa come può esserlo una sessantenne (di quelle puppe rifatte – labbra rifatte – vestiti attillati, per intendersi) e mio padre spera di ingraziarsela e magari portarsela a letto, e per fare questo dimentica completamente le più basilari norme di buon senso. Perchè anche lui probabilmente ha gli stessi problemi che ha girato a me e anche lui, evidentemente, non è riuscito a risolverli e a 69 anni è ancora a fare il servo della gleba.

Papà carissimo, non mi importa se nel frigo tieni 12 bottiglie di Becks perchè è l’unica birra che beve. Non mi importa se mi parli di come stai per comprare una casa vicino a una tua amichetta (“ma scusa papà, che ci fai?” – “ti faccio un disegnino?”) mentre affogo nei mutui e nei seicento euro al mese di asilo per mia figlia. Ma se metti a repentaglio la salute della mia famiglia io apro le fogne e ti mangio vivo.

Mal comune mezzo gaudio, verrebbe da dire. L’unica cosa che so è che ho ancora 25 anni per non ridurmi cosi’. Forza sa40a. Puoi farcela, ma probabilmente no.

Swansong – la coppa vuota 2.0

Il canto del cigno. Se volete la versione breve, potete semplicemente guardare la foto sottostante e determinare, con un rapido colpo d’occhio, quale dei due mezzi ruotati non avrà più spazio nella mia vita per un po’.

Il canto del cigno

Il canto del cigno

E’ facile indovinare che la moto dovrà purtroppo cedere il passo (e difatti è già in vendita) e questo ha stimolato un po’ di crisi e un po’ di riflessione.

Cosa è la moto? Non è semplicemente un mezzo di trasporto. La macchina è un mezzo di trasporto migliore, lo scooter è un mezzo di trasporto migliore. Costano – in proporzione – meno, sono più versatili, più comodi, più pratici, più economici da mantenere e richiedono molte meno attenzioni. Quindi, perchè una moto?

Perché la moto non è solo un modo di andare dal punto A al punto B: è un modo di intendere il tempo libero, è uno sfogo, è un’amante, è un piacere, ma soprattutto è un prolungamento della propria libertà. In moto si è liberi, senza sovrastrutture, senza pensieri se non quello della guida, senza niente tra noi e i colori e i profumi del viaggio.

Avere una moto è avere una estensione della propria libertà. Avere un figlio significa rinunciare a quella estensione della propria libertà. Se qualcuno di voi ha colto il parallelismo tra questo e una qualsiasi storia d’amore, beh, ha già colto il senso di questo post prima ancora che lo scriva.

Le storie d’amore devono arrivare quando si è pronti. Esattamente come i figli. Cosa significa in fondo essere pronti, se non avere la consapevolezza piena di quello che si guadagna e soprattutto di quello a cui si rinuncia? quindi, per traslato, non occorre avere fatto tutte le riflessioni del caso PRIMA di mettersi a dividere il proprio tempo con quello di un’altra persona e soprattutto PRIMA di mischiare i propri cromosomi con quelli di un’altra persona?

Vi anticipo: occorre, e l’ho fatto. Ogni istante prima di concepire la piccola sa0a, ma anche a concepimento avvenuto ho fatto tanti bei discorsi con me stesso per cercare di adattarmi alla nuova realtà. Capire come sarebbe stata la mia vita, in cosa sarebbe cambiata, quali rinunce avrei dovuto fare, l’amara consapevolezza che la moto sarebbe dovuta essere la prima perchè essendo solo al mondo come una bestia avremmo dovuto occuparci al 100% della gestione della bambina senza possibilità di delegare, e mettere la figliola nel bauletto per portarla all’asilo è piuttosto imbarazzante da spiegare alla Polstrada.

Quindi, direte voi, stai bene? Ni. Perchè non si è mai pronti al cambiamento, o perlomeno, non si è mai pronti del tutto. Ci si può illudere di essere pronti sia allo stravolgimento di una storia d’amore che allo stravolgimento della nascita di una vita. Ma la piena portata del cambiamento ci è nota solo a cambiamento avvenuto, c’è un principio di indeterminazione che rende tutto ciò che coinvolge l’Amore non pianificabile e non misurabile.

Si, mi struggo ancora al pensiero della moto. Continuo a guardare le moto che passano, e vi confesso con candore che mentre mia moglie cercava su google i passeggini io cercavo i sidecar. A rileggerlo è una cosa talmente infantile che fa il giro e sfocia nel comico, ma l’ho fatto. Però è uno struggimento positivo, è un languire dolce. E’ come guardare una foto dei tempi del liceo: non fa veramente male, ti fa solo sorridere con dolcezza su cosa è stato, nella serena accettazione che non ritornerà mai più come era, ma magari tornerà in forme diverse se saremo pronti a coglierlo.

Un nuovo modo di essere Coppa Vuota, non trovate?

Io volevo quello

E’ una tarda e calda serata estiva. Trascino fuori l’Augusto Genitore (AG) per vedere di fargli fare due passi, tenerlo in forma, parlarci.

Parlare del rapporto tra me e l’AG richiederebbe un libro. I miei si sono separati quando avevo 6 anni e da allora i rapporti sono stati problematici. Vuoi per la separazione turbolenta, vuoi per la sua inerente tendenza all’autoritarismo, vuoi perchè in fondo erano i primi anni ’80 e la sensibilità relativamente alle esigenze dei bambini era molto ridotta. Insomma, per farla breve ho riscoperto mio padre intorno ai 30 anni, dopo un “condono tombale” (letteralmente, visto che è stato in quel periodo che mia madre è venuta a mancare) che mi è costato parecchia fatica emotiva.

Cionondimeno il rapporto va avanti, con tutte le differenze tra noi due che si sono acuite in anni di lontananza e in anni di formazione in cui mi ero ripromesso di non diventare come lui. Adesso è un arzillo quasi-settantenne (si, mi ha avuto giovanissimo) alle prese con le conseguenze emotive di due divorzi, diviso tra – per non dire distrutto da – un eterno conflitto tra cinismo e voglia di amare.

Chiacchieriamo del più e del meno, principalmente della mia situazione emotiva, e mi sorbisco con pazienza l’elenco delle staffilate.

“Ma lascia perdere gli impegni, tanto le donne appena te le metti in casa cambiano da così a così”. Sorrido. In effetti non ha tutti i torti.
“Tu non lo capisci ma per la gnocca te sei nel periodo migliore della tua vita”
“In che senso, papà?” rispondo, sogghignando all’evidente sineddoche.
“Hai quarant’anni, un lavoro, una casa, una moto, non hai figli, puoi anche fare un periodo di pirateria”
“Si, però cosa mi resta, poi?
“Eh, che te ne frega, sei giovane!”
Andiamo avanti così, a confrontare opinioni tra un uomo che a sessanta e rotti anni si è iscritto a Meetic e tromba decisamente più di noi tutti, e un altro che invece rispetto ai rapporti sentimentali ha un approccio un po’ diverso. Fino a che il suo pontificare si interrompe. Si zittisce e punta il dito.

“Ecco, lo vedi?”
“Cosa, papà?”
“Quello”.

Di fronte a noi due anziani caracollano lentamente, mano nella mano.

“Ecco, io volevo quello” mi fa lui.

E allora deciditi!

L’eterna lotta tra ying e yang, tra libertà e dedizione, tra fiammate e tepore. Voi da che parte state?

Pazze in salsa Hamer

Ci conoscevamo da un po’. Lei belloccia, la classica “valchiria”, io un po’ meno, ma chissà. Ci troviamo a un compleanno, due parole, qualche complimento, poi io mi imbarco in una storia che non va granché bene e lei pure.

Ci ritroviamo dopo un po’, a storie finite, pizza? ma si, dai.

La serata scorre carina. Lei è molto empatica, una ragazza che sa ascoltare e come me ha un discreto bagaglio di storie dell’orrore sul sesso opposto perché ne ha passate parecchie. Finché si resta sull’umano, tutto bene. Finché si resta sul carnaceo – estetico tutto ancora meglio, perché belloccia era e belloccia continua ad essere. Però non si diventa sa30a senza tutta un grosso sesto senso da far invidia all’uomo ragno, e il mio superpotere è “segnala magagne”, che tradotto in italiano significa “sto virando verso l’acidità”.

Io lavoro in sanità. Ormai lo sapete. Io ho una formazione scientifica. Ormai lo sapete. Io inizio ad invecchiare, e purtroppo sapete anche quello, e con l’invecchiamento iniziano ad arrugginirsi tutti i meccanismi della tolleranza che molti maschi hanno in nome della patata; in altre parole “ok, brava, sei topamunita ma non è che debba sopportarti per forza”.

Il superpotere di segnalazione magagne si attiva, come un formicolio freddo lungo la schiena, quando si inizia a parlare del mio lavoro.

“…beh, si, io lavoro in sanità, e…”
“eh, ti capisco, che schifo!”
“…no, dai, è lavoro, tutto sommato non è neanche un brutto lavoro, si fanno cose molto interessanti e…”
“Non intendevo quello. Intendevo che è tutto uno schifo, ci sono le case farmaceutiche che…”.
“…che menomale che ci sono loro, dai, la ricerca pubblica è praticamente ferma”
“eh no eh!” – si inalbera – “le cause farmaceutiche sono quelle che mettono in giro i virus delle malattie per poi poterti vendere le medicine…”
“…ma…”
“…e la sanità è schiava di questo sistema perché sono corrotti dai soldi che girano, tutti soldi per tenerci malati, per tenerci clienti!”

Ripasso mentalmente il mio saldo bancario e mi riprometto di inviare una mail a BigPharma perché, evidentemente, devono essersi dimenticati di me nel momento dei bonifici. Nel frattempo entro in modalità “Caso Umano”: ascolto, preso dalla curiosità di dove andrà a parare la persona che ho di fronte.

“…pensa te ai vaccini per l’influenza, e a tutti i vaccini che ci fanno, ci fanno ammalare per forza, ma vivremmo meglio senza medicine!”
Inizio a raggiungere il limite.
“Tata, scusami, ma forse è meglio fidarsi di chi ha studiato anni per il nostro benessere senza cadere nella retorica, io dall’interno le statistiche le vedo…”
“Allora fidati di me. Io sono un medico!”

Eh?

“Scusa tata, ma non avevi fatto Ragioneria?”
“Si, vabbè, ma che c’entra l’università. E’ un ente corrotto dalle industrie del farmaco, ci girano troppi soldi. Io sono un MEDICO HAMERIANO”
“…’nchessenso?” dico facendo la mia migliore imitazione di Verdone.
“nel senso che studio la medicina quella vera! Il corpo ci può guarire da ogni malattia, perché ogni malattia è espressione di un disagio psicologico! Se stai male psicologicamente ti ammali, se stai bene psicologicamente guarisci!”

Eh? (e due). Vabbè. Dai. Sa30a. Fai il bravo. Non la infiocinare come un cucciolo di foca, su… dalle una chance.

“Tata, lo posso capire per alcune patologie psicosomatiche, magari qualche dermatite, un po’ di alopecia a chiazze, di certo non per cose grosse. Posso capire la psoriasi in determinati casi, ma non il mio tumore alla gola, ad esempio. Però potrebbe esserci qualcosa di valido nelle tue teorie”

Io ti ho teso la mano. Coraggio. Dai, ragazza. Cavatene fuori con eleganza.

“Ecco, vedi! Il tumore alla gola! Sono le cose che non dici, le cose che ti tieni dentro!”

Ho avuto due tumori. Ho perso mia madre per due tumori. Respiro. Conto. Uno… due… tre… ottantaq… no, cazzo, berrò il tuo sangue. Ho deciso.

“Quindi se ti dico che hai appena pronunciato un branco di stronzate indifendibili e pericolose riduco il rischio di recidive?”
“…”
“…usciamo, dai, che si è fatto tardi”

Non l’ho rivista. Mai più. Ogni tanto mi manda su facebook l’invito a qualche laboratorio di meditazione, o di cura coi fiori di bach, che puntualmente declino.

Oggi è morta una donna per aver dato retta alla medicina hameriana. Trovate il link qui. Dedico questa riflessione a tutti quelli che nel momento di difficoltà perdono la fiducia e cadono facili prede di avvoltoi e ciarlatani, sperando che trovino in loro stessi la forza che nessun altro nella vita può darti in quei momenti così bui.

Horror Stories

Lo conosco da qualcosa come 34 anni. Era il mio amico del cuore alle elementari e alle medie, siamo cresciuti insieme e ci siamo concessi quei piccoli eccessi di una fanciullezza fin troppo tranquilla per gli standard di oggigiorno. Poi finiscono le scuole dell’obbligo, lui sceglie di lavorare e io prendo il liceo, e piano piano la distanza si amplia finché non mi iscrivo all’università. E’ comunque una persona che mi è molto cara, nonostante non ci si veda praticamente più e le nostre vite si siano allontanate.

Lo sento qualche giorno fa dopo aver visto una sua foto con accanto un suo mini-me. Praticamente un ometto uguale a lui, solo più piccolo.

“Ma hai figliato e non me lo vieni a dire?” gli dico a mo’ di rimbrotto. Frasi di cui pentirsi ne avevamo? no? eccone una.

Dopo essere stato anni ed anni con la fidanzata di sempre, una di quelle possessive che ti allontanano da tutti, prende il coraggio a quattro mani e la molla. Trova lei: bionda, carina, che condivide con lui alcuni hobby. Stanno insieme per un po’, vanno a convivere, e lei inizia a dire “voglio un figlio”. Il problema è che lui non ha studiato, alterna lavoretti a lavoretti, non è precisamente una persona economicamente stabile. Ciononostante lei è inamovibile: vuole un figlio. Lui pure, beata incoscienza. E questo figlio arriva.

Vi chiederete: “Quale è la donna incosciente che mette al mondo un figliolo con il compagno che non ha lavoro?”. Una donna molto innamorata? No. Una donna con l’amante.

Appena saputo di essere incinta, la gran baldracca brava pulzella ha mollato lui e si è messa definitivamente con l’amante. Il quale le è stato vicino durante tutta la gravidanza, le è stato vicino durante il parto (ma il figlio, casualmente, non l’ha riconosciuto. Chiamalo scemo.) e ora si occupa a tempo pieno di quel bimbo come fosse suo.

Il mio amico è ai bordi della pazzia. Quando vuole vedere suo figlio c’è lui. Non lo può educare come vorrebbe. Ora ha postato le foto delle vacanze: lui, suo figlio, la ex e l’altro. A quale livello di umiliazione si deve scendere per passare del tempo con la propria progenie.

Ogni giorno dobbiamo ringraziare chi astiene la propria mano e non commette omicidi multipli con l’aggravante dell’efferatezza del reato. Io al posto suo non ce l’avrei fatta. Forza ragazzo, forza.