Uomini che scappano. Forse.

Mi ero ritagliato il pomeriggio per riuscire a rimettermi in pari con tutte le mail e i messaggi di FB a cui ancora non ho risposto (colgo l’occasione: scusatemi!). Poi decido di dare un’occhiata ai commenti e trovo una frase che mi fa digrignare i denti.

Quindi prendo la triste decisione. I commenti aspetteranno, questa frase no.

se la parola matrimonio e figli spaventa ….meglio usarle (sic!) presto…così se devono scappare…non hai perso tempo e ti sei risparmiata sofferenze inutili!

Ecco, sarà che sono nervoso oggi, sarà che ho il ciclo, ma a me i luoghi comuni infastidiscono. Infastidiscono (come mi ha infastidito il resto del messaggio) specie quando sono usati come corollario a quei concetti che negli anni ho imparato a detestare. Il do ut des. Il topacentrismo. La parità selettiva.

Vi svelo un segreto, donne. Gli uomini non scappano. Eh si. Sorprese, vero? Lo so, ora mi siete tutte lì prese dalla voglia di saltarmi addosso (ahimè, solo virtualmente) al grido di “sa30a che cavolo dici”. Ma è vero. Gli uomini non scappano.

Prendete un uomo. Amatelo, e siatene riamate. Fateci dei figli se siete d’accordo tutti e due (sennò non ne farete. I figli non si impongono). Costruiteci e mantenete una casa, una quotidianità, una routine. Rendetelo felice e lasciate che vi renda felice. Quale uomo scappa da una situazione del genere?

Ve lo dico io. NESSUN uomo con un numero di neuroni sufficiente a fare delle sinapsi scapperebbe da una situazione del genere. Io spero che siate tutti d’accordo su questo: è l’ABC degli esseri senzienti. Qualsiasi organismo pluricellulare è portato a restare nei posti dove trova uno stato di benessere e ad andarsene da quelli dove detto stato di benessere è assente. Ce la fa perfino una medusa, figuriamoci un primate dal pollice opponibile in grado di comprendere la regola del fuorigioco. Costruite giorno per giorno un benessere col vostro uomo, e detto uomo starà sempre con voi.

“Ma il matrimonio…” si, per carità. Salvo chi lo fa per motivi squisitamente religiosi e che condivide con il proprio partner tutta una serie di valori (tipo la castità prematrimoniale, per dirne uno, eh), il matrimonio non è una discriminante per capire se un uomo scappa o no. Il matrimonio è un mezzo per prendere un uomo e impedirgli di scappare, salvo esborsi considerevoli in avvocati ed alimenti, e garantendosi invece in caso di fuga femminile un gettito mensile cospicuo. Serve per poter dire “da questa coppia scappo solo io”. Un po’ come prendere le carte “uscite gratis di prigione” del Monopoli e dire che potete pescarle soltanto voi.

Quando una donna dice “l’uomo mi deve sposare perché non voglio un uomo che scappa dalle proprie responsabilità”, quella donna in realtà sta dicendo “voglio un uomo che non scappi dalle MIE responsabilità”. Perché se ritorniamo al quadro della coppia che sta bene insieme, se questo quadro si incrina la colpa è di entrambi. Se non siete felici, se l’amore è mancato, se la vostra quotidianità è uno schifo, la colpa è di entrambi. Le donne che vogliono essere sposate sono donne che non sono disposte a pagare il prezzo degli errori della coppia, ma vogliono un uomo che paghi anche per loro. Non solo in pizzeria, ma anche nella vita. I problemi si affrontano, e inchiodare una persona a un problema dicendo “vivilo o ti infilo in uno ancora peggiore” non è il modo per affrontarlo.

Un uomo che non vuole sposare una donna del genere non è un uomo che fugge dalle responsabilità. E’ un uomo che fugge dalle donne che non vogliono assumersi le loro. E io francamente non lo biasimo.

Perché una donna che vuole essere sposata per forza non è una donna che è sicura al 100% che per ogni giorno vi amerà. E’, molto semplicemente, una donna che vuole i vostri soldi, o la vostra vita. O magari entrambi, per quando lei o voi fallirete.

Un uomo che se ne va non è un uomo che scappa. Un uomo che scappa è un uomo che non è felice. E la colpa potrebbe anche non essere del tutto sua. Fatevene una ragione. E già che ci siamo, specie se siete capitate su questo blog: l’amore non sempre è eterno. Facciamocene una ragione.

Da rifuggire come la peste. Io non mi sono voluto sposare. Mai. Ma sono sempre restato al mio posto per le persone che amavo, sempre, anche quando è significato sputare sangue e pezzi di tessuto cardiaco. Essere un uomo che non vuole sposarsi non fa di me un vigliacco. Fa di me, molto lapalissianamente, un uomo che non vuole sposarsi.

I Pietosi Uffizi

Ognissanti. Per me ad Ognissanti si compie un rito: vado al cimitero. Non è una cosa che faccio per piacere, lo faccio per un dovere che mi autoimpongo. Una ritualità, una forma di rispetto verso chi ha calcato queste strade prima di me e che ha contribuito a rendermi come sono.

Ad Ognissanti il cimitero della mia città è quasi bello. Un tripudio di fiori freschi, profumi che aleggiano nell’aria. Donnette di una certa età che vagano in gruppi di tre con sguardo trasognato tenendosi sottobraccio come ragazzine a scuola, chissà se per confidenza o per timore di cadere. Una coppia di ragazzi della mia età vaga per un campo funebre cercando una tomba di cui sicuramente non hanno mai veramente saputo la locazione, e nel frattempo parlano del più e del meno. Una signora sulla settantina che con fredda efficienza pulisce, spazza e sistema i fiori a una serie di tombe, l’ultima superstite di un ramo familiare che è a un passo dall’estinzione e dal dimenticatoio. Nessuno piange.

Io invece si. Non ce la faccio, non resisto in quel posto lì. Le tombe dei miei cari mi straziano, già a partire dalla tomba di mia madre sono già distrutto. Poi i nonni, gli zii, tutta una serie di nomi e cognomi che mi ricorda che sono ad una persona soltanto dalla completa solitudine al mondo, e che quella persona è pure malata. Ho trentasette anni e sono messo peggio di un sessantenne. No, sa30a, non sei soltanto signorino. Sei proprio solo. Fattene una ragione.

Passo silenzioso tra le tombe dei miei cari. Un pensiero a ognuno, non diverso da quello che riservo loro quasi ogni giorno, ma arricchito dal sacrificio che oggi sto facendo per loro.

Camminare nei cimiteri, per quelli come me, è devastante. Si viene assaliti da tante storie, da tanti… riverberi di vite che mi echeggiano nella camera cava che è il mio petto. Non solo le vite che la morte ha interrotto quando desiderava, ma quelle che continuano ancora qui. Una lapide particolarmente curata. L’espressione austera di un volto che ha smesso di sorridere sessant’anni fa. Una tomba fresca di una donna troppo giovane su cui un bambino ha appeso un puffo di peluche martoriato dalle intemperie. Una lapide piccola piccola piccola che riporta soltanto una cifra, “2013”, e su cui qualcuno ha messo una girandola che si muove pigra.

Vi prego. Quando non sarò più qui, bruciatemi. Fatemi sparire. Non lasciate che la mia storia riverberi come uno strazio tra anime troppo delicate per stare in un posto orribile come quello.

Strane Similitudini

Lavoro. Collega1 (C1) e Collega2 (C2) che parlano concitati concitati. Passo li’ vicino e visto che siamo a mensa sento tutta la conversazione.

C1: “E guarda, le persone sono veramente insensibili, non capiscono quanto amore c’è negli animali”
C2: “Ma hai un serpente… come fa ad essere affettuoso un serpente?”
C1: “Ma è dolcissimo! Quando vado a letto la sera si stende accanto a me tutto lungo e mi fa compagnia tutta la notte”.
sa30a: “Abbattilo”
C1: “Eh? Ma sei matto?!?”
sa30a: “Per nulla. Vai dal veterinario, portagli il serpente, raccontagli quello che hai detto a me e abbattilo”
C2: “Ma sei crudele”
sa30a: “Certo. Via bimbi, vi saluto”

Passa qualche giorno. Li ritrovo a mensa. C1, insolitamente pallido, mi chiama.

C1: “sa30a?”
sa30a: “Dimmi”
C1: “per quella storia del serpente…”
sa30a: “‘spettalì, te. CIDDUE!”
C2: “oh, che c’è?”
sa30a: “Ascolta. Dicevi, C1?”
C1: “Il serpente. Il veterinario l’ha abbattuto…”
C2: “noooo, ma dai, che crudeltà…”
C1: “si, beh, in realtà mi ha spiegato che i serpenti fanno così quando ti considerano una preda. In pratica mi stava prendendo le misure, appena mi avrebbe superato in lunghezza mi avrebbe attaccato nel sonno, strangolato e avrebbe provato a mangiarmi”
C2: “…”
sa30a: “Appunto. E se vuoi un essere che ti dorme nel letto la sera, ti prende le misure ed appena è più grande di te prova a divorarti, non puoi prenderti una donna come fanno in tanti? Risparmi tanti topi vivi e magari ogni tanto trovi la cena pronta quando torni a casa.”
C2: “…sei un mostro!”

Senz’altro. Io. Il serpente, invece, fa bene. E’ un mondo strano di sicuro.

Errori Marchiani

Mattino. Il sole fa timido capolino dalle finestre di camera e mi sveglia. Lascio le tende tirate apposta perchè… mi piace così. Essere svegliato lentamente, naturaliter.

Al mio alzarsi risponde un mugolio semiaddormentato dall’altra parte del letto.

“mmmm… ma è presto… che fai?”
“Colazione. Cosa vuoi per colazione?”
“Cosa hai?”
“Caffè, latte, uova, pane, prosciutto, succo di frutta, marmellata, miele, cereali… “
“Latte e cereali? e caffè?”
“Latte, cereali, caffè. Ok.”

In costume adamitico mi affaccendo tra le cose di cucina. La caffettiera grande per le tazze di latte. Le tazze di latte, quelle carine, bianche e rosse, di Simon’s Cat. La caffettiera piccola per le tazzine di caffè, quelle con i cuoricini, bianche e rosse. Un piattino per il prosciutto per me.

Lei si alza e indossando il mio stesso costume si avvicina. Mugola qualcosa, mi si avvicina da dietro, sento le sue mani che percorrono la mia schiena e le sue dita che…

…mi strizzano un brufolo.

Maremma impestata e trogola. Un brufolo! Ma si può?

“E’ quasi pronto. Siediti e lasciati coccolare.”
“Ma come sei dolce, grazie…”

No, non è dolcezza. E’ che il brufolo di primo mattino mentre ti preparo colazione, proprio, mi mette voglia di farti stare seduta.

P.S. sono *indietrissimo* con qualsiasi forma di comunicazione personale. Portate pazienza :)

Femminicidio

Avrei voluto intitolare questo post “horror stories”.

sa64a. Già separato e divorziato, un figlio. Trova una donna con una figlia, pensa che sia quella giusta. Resiste in una convivenza per lustri, fino a che le pressioni della futura moglie e della mamma lo convincono al matrimonio. Si sposa. Dopo un po’ di matrimonio la signora gli dice “senti, metti la casa in testa a mia figlia cosi’ se ti succede qualcosa lei è sistemata?”. Lui timidamente ribatte “io veramente avrei un figlio mio e casa mia va a lui”. Separazione. Alimenti. Cause civili. Lei per avere più soldi l’ha denunciato per percosse. Risultato: sa64a non vuole più vedere una donna nemmeno dipinta, non so se per misognia o per paura. Non ditemi che mi sono inventato tutto:  lo conosco. E’ mio padre.

sa61a. Già vedovo, con un moto di reazione non da poco riesce a rimettersi in ballo e a conoscere lei. Buona, brava, belloccia, senso della famiglia. Invece di fare i fidanzatini lei viene a stare da lui e dorme nel letto della ex moglie. Poi vuole la camera nuova perchè “mi dà fastidio dormire dove dormiva lei”. Poi la cucina nuova perchè “mi dà fastidio cucinare e mangiare dove mangiavi con lei”. Poi vuole un cane perchè non ha avuto figli e vuole un essere da curare. Poi vuole l’auto nuova perchè… “quella è quella di lei”. Poi lui litiga col figliastro perchè a lei dava fastidio il pianoforte della sua ex moglie (ribadisco: è vedovo) e inizia a capire che forse lo stanno menando per le mele. Un giorno lei gli si presenta e gli dice “sai cosa? non riesco più a stare con te”. Lo lascia in 7gg netti con tutte le rate ancora da pagare. Non vuole vedere più una donna neanche in foto ora. Non ditemi che mi sono inventato tutto:  lo conosco. E’ il mio patrigno.

sa31a. Conosce lei, si innamora, “ci scappa” un bimbo. Vabbè. Capita. Vanno a convivere. Ce ne scappa un altro. “Fattici un nodo ragazzo”, e invece se la sposa. Passano tre anni, lui per sbaglio capita sulla sua pagina di facebook e scopre non UNO, ma tipo DIECI amanti diversi con tanto di pagella. Interrogata, la baldracca signora risponde: “ho 28 anni. Se non trombo ora, quando trombo?”. Serve che vi dica che conosco pure lui?

sa36a. Conosce lei, tre anni di storia, convivenza a distanza, chilometri macinati su chilometri macinati. Si mette a fare il padre di famiglia di lei e della bimba perchè “da sola con la bambina non ce la faccio”, ergo la porta a scuola, le fa fare i compiti, la tratta come se fosse sua. Dopo due anni e mezzo si trasferisce definitivamente da lei, cambia lavoro, vende la sua casa, cambia completamente vita. “Voglio un figlio” dice lui. “Anche io” dice lei. Non si sà se per l’emozione o perchè la voglia di avere un figlio era tanta, la zoccola rispettabile signorina si fa aiutare per mesi a farlo dal migliore amico di lui mentre il cornutazzo fa da babysitter inconsapevole di tutto, magari comprando mobili a giro a destra e a manca, traslocando, eccetera eccetera. A giochi scoperti lei dice “ma non ti abbiamo mica mancato di rispetto noi! Ma questo significa che la bimba non la tieni più? non ti sembra di essere crudele?”. No, non inorridite: ho nome e cognome anche di questo.

sa58a. Un matrimonio fallito alle spalle, sposa lei perchè quel povero bischero continua a innamorarsi di nuovo. Ci fa due figli, cambia lavoro e abbandona la natia Toscana per andare a stare in culo ai lupi. Lei trova un altro e sparisce, lasciandogli i figli perchè non li vuole più vedere. Morale si trova becco, con due figli da mantenere e un assegno di mantenimento da dare alla moglie. Lei ogni tanto gli chiede di stirargli le magliette. E’ uno tra i miei amici di facebook.

Volete fare un test di sopravvivenza? andate da uno di questi, uno solo (il più piccolo è quasi 1.80 e ha due braccia non da poco) e parlategli di “femminicidio”.

Ricettine

Non lo faccio mai. Di postare quel che mangio, o quello che cucino, intendo. Ma qui m’è venuto un piccolo rigurgito di egocentrismo e vanità, visto che sono due ricette… mie. Mie come carattere, mie come risultato e scelta degli ingredienti, mie nella loro giustapposizione. Non ci incastrano nulla l’una con l’altra. Un po’ come il mio carattere e la mia passione più o meno smodata per gli ossimori.

Cous Cous a Sorpresa

Tempo: cinque minuti.

In realtà questa ricetta mi è venuta in mente quando, nell’ennesimo trasloco, mi è capitata davanti una confezione di spezie. Comprata a Roma, col sorriso sulle labbra e una bella persona accanto, “come un bambino in un negozio di giocattoli”. Kurkuma, peperoncino, curry, zenzero tagliati piuttosto grossi, non polverizzati. Accanto, un’altra confezione di sale aromatizzato a limone e menta. Anche li’, un altro sorriso. Due sorrisi che meritavano una tavola su cui stare.

Non ci vuole molto a fare il couscous, è semplice. Il gioco è trovare l’ingrediente giusto, o meglio, l’amore. Sta tutto li’. Sgranate il cous cous con l’olio buono di Volterra, quello che non usate quasi mai perchè ne è rimasto poco. Mettete a bollire un po’ d’acqua, 4 bicchieri bastano e avanzano per un paio d’etti di cous cous. Fatela bollire, spengetela, aggiungete una punta di sale (ma poco, eh?) e lasciateci il cous cous lavorato con l’olio.

Condite con poco, ma scelto con amore. Aglio bio, tagliato fine. Cetrioli a filiera corta, se li avete, tagliati a metà e poi in fettine sottili sottili. Pomodoro piccadilly, perchè fa meno sugo dei pomodori classici e non rischia di lavare via il sapore. Tonno al naturale scolato bene. Le spezie. Il sale al limone e alla menta.

Ne viene fuori un cous cous a sorpresa: profumatissimo, la menta vi accompagna ogni boccone alla bocca, e ogni boccone è una sorpresa: con le spezie tagliate grosse, chissà cosa vi risalterà alla bocca? il peperoncino, magari mano nella mano a un pomodoro che ne contrasta l’aggressività? il curry, dolciastro, che parla con il leggero acido del cetriolo? o quel retrogusto di limone di un granello di sale un po’ più ostinato degli altri, che magari assieme al tonno ha il suo bravo perchè? Accompagnate con un Muller Thurgau o se siete più audaci con un Gewurztraminer,  e avete fatto serata.

Coppetta della Lussuria

Tempo: 4-5 giorni.

Prendete delle pesche. Pesche vere, eh, quelle belle pelose, no le pesche noci. Sbucciatele con tanta calma e mettetele a macerare nel vino rosso che avrete comprato per l’occasione. Un bel vino di corpo come un Chianti o una cosa più aggraziata ed esile come un Teroldego? Lascio scegliere a voi, ovviamente. Non occorrono grandi bottiglie, una cosa dignitosa e che sia riconoscibile. Lasciate macerare le pesche per un paio di giorni nel vino zuccherato, con zucchero di canna o bianco, a seconda dei vostri gusti e preferenze. Per i viziosi, aggiungete una puntina di miele d’acacia. La bottiglia usatela TUTTA.

Dopo i due giorni, prendete le pesche ottenute e datele al gatto. O mangiatele, se proprio volete, male non sono.  Vi ho detto di usare la bottiglia intera? si? un po’ perchè odio gli avanzi. L’altro motivo è perchè adesso prenderete il vino aromatizzato e ci taglierete le fragole, a pezzi fini fini fini. Ve ne dimenticherete per un paio di giorni in frigo, finchè non diverranno traslucide.

Da mangiare in due, rigorosamente dalla zuppiera e con un cucchiaino a testa come Lilli e il Vagabondo, con la vostra commensale che battezza il dolce “coppetta della lussuria” con sguardo tendente all’estatico. Il consiglio del Single, purtuttavia, è di usare un cucchiaio solo. Per due. Basta e avanza.

Ecco, in queste ricette mi ci sono rivisto tanto. Un cous cous da cinque minuti e un dolce da cinque giorni, odori e sapori che si rincorrono e ora si accoppiano e ora litigano. La cura per il particolare, il piccolo, l’ingrediente, il come verrà consumato il piatto e non il come viene preparato. Mi perdonate questo momento da vanesio?