La Sindrome da Principe Azzurro

Ci sono comportamenti che vengono definiti atavici, acquisiti quasi nel nostro DNA. Un pastore tedesco ha l’istinto alla guardia: è atavico. Un gattino la fa nella lettiera e la copre: è l’istinto atavico da predatore.

Gli esemplari maschi della specie homo sapiens sono atavicamente competitivi. Cercano la competizione, il confronto, fin da quando alle scuole elementari sbirciano nei vespasiani per capire chi ce l’ha più lungo, o quando si prendono a pedate giocando a pallone mentre le bambine giocano con i peluches di hello kitty o a far spostare i mobili della casa delle bambole a Big Jim mentre Barbie dirige i lavori.

Giocoforza, si cresce. Arriva l’età in cui non puoi più sbirciare i piselli al vespasiano, vuoi perchè ti sei stancato di perdere, vuoi perchè inizi a sentirti dare del finocchio dai compagni di classe e non apprezzi molto l’ostracismo che ne consegue. Allora cosa fai? sposti l’istinto predatorio, l’istinto di competizione, su altre cose. Se ti va di culo, usi i soldi dei tuoi genitori per competere con gli abiti firmati o i motorini truccati. Se ti va male, inizi a ragionare con le donne.

Facciamo un attimo di osservazione della realtà: quanti di voi hanno sentito dire ad una donna “guarda, era veramente un amore il mio ex… solo che sono stata una cretina, tra paturnie autoinventate, castità imposte per ripicca e rompimenti di gonadi vari l’ho fatto scappare“? Tutti con le mani sul grembo, eh? bravi. Normale amministrazione; non me ne stupisco.

All’atto pratico, all’inizio di una storia, vi sentirete raccontare peste e corna dell’eventuale ex. Dal “non mi dava attenzioni” fino al “mi picchiava“, passando per tutte le gradazioni intermedie di crudeltà gratuite (si, fateci caso: sono tutte gratuite) perpetrate dall’ex alla gentil pulzella.

Li’, in assenza di vespasiano, scatta l’istinto di competizione del maschio del terzo millennio: la Sindrome del Principe Azzurro. “Si, io sono più Principe Azzurro di lui!” ci si ripete convinti, magari per controbilanciare il fatto che al vespasiano ci avrebbe suonato come zampogne. E da li’ parte un crescendo di errori, altrimenti noto come il “dare il 120%“, quel madornale errore che ci porta a sovraimpegnarci, a coprirle di attenzioni, a rimediare a tutti gli errori dei suoi ex passati presenti e futuri, a dispendere preziose energie che servirebbero per ricaricarci.

Ignoriamo, tapini, che in quel momento siamo dei Big Jim che spostano mobili nella casa delle bambole, ad una Barbie a cui non andrà mai bene qualsiasi arredamento, fino a che ci stancheremo e non saremo più al 120%. E lei, al prossimo, dirà “Non mi dava attenzioni, non mi cercava, era distante, non vedi come ci sta male quel divano accostato a quel muro? pensa, lui si rifiutava sempre di spostarlo!”

Meditate gente, meditate.