Fenomenologia del Perdono

Faccio seguito all’accorato appello di Them nell’ultimo post, quello sul libr… cos… insomma, su quella cosa di carta scritta da Chiara Gamberale.

Insomma, povero micio, non è colpa sua. L’hanno fregato. Si è legato con una pornoromantica e isterica a sua insaputa. Nelle scatolette c’era l’insaporitore all’escherichia coli. Non è colpa sua: è successo a sua insaputa.

E’ vero, finché sei un animale bello, adorabile, che basta strusciarsi un pochettino per sciogliere il cuore di chiunque. Vale a dire, è vero solo per le donne e per i gatti. Meglio se cuccioli.

Invece il pensiero che mi frulla per la testa in questi giorni è che quando sei un “bimbo grande” il perdono è una cosa estremamente complessa. Perchè più invecchiamo, più si fa largo il cinismo, più cresce l’orgoglio, il senso della propria dignità, più il perdono diventa un dono immenso che elargire si fa sempre più difficile.

Diventa difficile specie se (“tu sei un cinico del cazzo”, direbbe la pur carissima Mabh: anche io ti voglio bene, sai?) si è incapaci di dimenticare. La memoria dei tagli che ci vengono inferti è una capacità che si affina con l’età. Assieme alle rughe, probabilmente.

Spesso, come dice Ipazia, bisogna semplicemente farci una ragione che talvolta l’happy end non esiste. Talvolta veniamo chiamati a rispondere dei nostri errori, dei nostri orrori, senza possibilità di appello.

Perché siamo cresciuti.

Perché le cose sono troppo grandi per poter semplicemente far manovra e ripartire.

Perché non siamo gatti.

O perché semplicemente, quando si diventa bimbi grandi, un taglio alla fiducia è un taglio che è difficile da remarginare.

E voi, cosa ne pensate? quali sono i vostri pensieri sull’ottenere e cercare il perdono?