Il valore terapeutico dell’allenamento

E’ una sera come tante, in un periodo come tanti in cui ero afflitto da una forma piuttosto grave di rabbia endogena. Quella rabbia che non sai dove canalizzare, che viene non dal male fatto o ricevuto, ma da una consapevolezza profonda di inadeguatezza e mancata comprensione di una situazione.

E’ una sera come tante in cui trovo il mio rifugio in palestra, e sono li’ a fare un esercizio piuttosto ignorante (dicesi “croci su panca piana con manubri”) con un peso piuttosto ignorante (dicesi due manubri da venti chili l’uno). Come spesso capita, faccio la mia serie, arrivo veramente al limite, spendo tutto lo spendibile e a fine serie poso i manubri e schizzo letteralmente via dalla palestra digrignando i denti e ringhiando. Lo chiamo affettuosamente il mio “picco ormonale”, anche se so che di ormonale non c’è un bel niente (fosse così facile…), ma è piuttosto una reazione complessa legata allo sforzo, all’adrenalina, alla psiche un po’ malata di chi va in palestra a farsi del male coi pesi. Però è una reazione relativamente frequente per me: faccio un esercizio e balzo via dall’attrezzo in preda ad un’apparente furia. Anzi, ad una furia e basta. Mi calmo dopo venti secondi, di solito.

Da una distanza di relativa sicurezza un collega di palestra esce da sotto un bilanciere molto carico, mi guarda e sorride. Mi guarda scattare via, fare quattro passi, recuperare un’espressione del viso relativamente normale e…

CP: “Toglimi una curiosità singleatrentanni… ma chi ce lo fa fare a noi?”
“Eh già, chi ce lo fa fare… chissà…”

CP: “…”
“…”

CP: “Dì la verità, non trombi neanche tu, eh?”
“…guarda, mi hai convinto: prendo i manubri da ventidue. Mi dai un’occhiata per favore? che stavolta rischio di farmi male sennò.”

La vita, il recupero di un rapporto col proprio corpo, mille pensieri, mille situazioni che ti portano a vivere la palestra in un modo o nell’altro. Ma la disarmante semplicità di un ragazzo che mi conosce appena, alle volte, dà da riflettere più di mille discorsi altisonanti con rappresentanti dell’altro sesso.

quello che gli uomini non dicono

Prendiamo spunto da questo articolo, appartenente a un blog carino ma purtroppo caduto nel dimenticatojo, per aprire insieme una carrellata di luoghi comuni… e scaldare un po’ i muscoli in questa settimana in vista di qualcosa di più intenso.

Nell’articolo, evidentemente mirato alle donne, si fa menzione di alcuni motivi per cui le donne di 30 anni restano sole. Motivi carini, romanzati, ironici ed esposti con stile, ma da dibattere un po’.

“Trasmetti tristezza”. Succede, purtroppo. E te ne accorgi subito, di quando una ultratrentenne trasmette tristezza: inizia a sciorinarti le diciottomila cose che fa, e il volontariato, e il gruppo di rosario a boe equosolidale, e l’associazione socio-culturale di cultura armena, diciottomila frizzi e lazzi che lei fa per riempire i vuoti, vuoti che sarebbero meglio riempiti da un rapporto più salutare con sè stesse. E per tirarsela, senz’altro. La frase tipica? “ah, io faccio questo e quell’altro, sono bellissima e impegnatissima”. Riempie i vuoti, e pone una distanza. Poi quando inizi a non corteggiarla più si arrabbia.

“Trasmetti rabbia”. La fattispecie peggiore. Purtroppo capita, le vedi in veste iperfemminista, piene fino all’orlo di luoghi comuni sugli uomini, che non si prendono le responsabilità, che non sanno impostare i rapporti, che non le corteggiano (nonostante loro “siano bellissime”, eh?). La verità? hanno spesso avuto dei veri e propri santi nonostante loro si siano prodigate per sbocconcellare le gonadi, e la prima cosa che fanno con un uomo è saggiarne il limite di sopportazione facendo una sbocconcellatio testicolorum preventiva. Solo che a trenta, o quarant’anni, un uomo ha bene appreso il teorema della maturità differenziata e le manda in culo senza passare dal via. La loro frase tipica? “sono una donna impegnativa”. Per l’apparato testicolare senz’altro.

“Trasmetti fretta”. Di donne che ti scambiano per un riproduttore e manutentore dei loro figli purtroppo iniziano ad essercene, specie nella fascia che va dai 35 ai 40, in cui l’orologio biologico batte dei colpi rimbombanti nelle loro auguste testoline causando una certa qual ansia da maternità. Il problema è che queste ragazze sono rientrate, fino a cinque minuti prima, nella prima o seconda fattispecie… e si sono svegliate troppo tardi, e al solito pensano che il problema sia altrui, del fatto che non trovano uomini seri e disposti ad impegnarsi. Non so voi, ma io se una dopo tre appuntamenti inizia a parlarmi di figli preparo un nuovo articolo per la categoria pazze… la frase tipica? “Tu quante storie hai avuto, e come mai sono finite?” non mi psicanalizzate…

 

…ok, mi sono abbandonato ad un po’ di sano maschilismo, lo ammetto. Datemi spunti per un “quello che le donne non dicono”, incliti lettrici,  o ulteriori spunti per un “quello che gli uomini non dicon odavvero”, e vi offrirò tutto il diritto di replica del mondo!