Tenzone poetica: l’incomunicabilità

Faccio seguito al pur sdegnoso e sussiegoso Valerio Di Stefano, che ivi (ove? colà) mi sfida a singolar tenzone su temi poetici, approfittando del fatto che egli è Abile Linguista™ mentre io, ahimè (ahimè? ahivoi) sono più che profano nel settore delle belle lettere, sapendo a malapena scrivere ventitrè con l’accento solo dopo numerosi scappellòtti dati con la rincorsa sulla nuca.

Mi è gioioso ribadire al suo componimento sulla comunicazione al femminile levando alti lai (nel senso più formale: sono alti tre stanze, nel caso) sul tema dei dialoghi uomo-donna. Tema coniugale, anzichenò.

Il tutto, ovviamente, è un gioco. Non ho la benchè minima pretesa, anche perchè a raffrontarmi al Di Stefano mi sento un po’ come Alvaro Vitali contro Mike Tyson.

Mi chiedi se ho capito

Mi chiedi se ho capito
ti guardo un po’ basito
vorrei già replicare
ma rieccoti a parlare
ancora pago pegno
al gran femineo sdegno
perchè io non son dòmo
o perchè sono uomo?

ci giri tutto intorno
parlando per mezz’ore
inquini ‘l mio bel mondo
con futili parole
non è che io son duro
nè voglio far la rima
per me il silenzio è puro
e afferro già alla prima.

durissimo cimento
lo starti ad ascoltare
m’ammazzi ‘l sentimento
non è meglio trombare?
e presto con fervore
avrai le tue ragioni
dolcissimo mio amore
hai rotto li coglioni!

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